Zeno carra*
*Doutor em Teologia e Ciências Patrísticas no Istituto Patristico Augustinianum. Professor Facoltà teologica del triveneto - studio teologico san zeno. Contato: zeno.carra@gmail.com
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Riassunto
Sono state rilevate alcune fatiche della sistematica tomista in materia eucaristica nel reggere come intrinseci elementi che pur appartengono all’esperienza cristiana del sacramento: è dunque urgente che il pensiero teologico contemporaneo elabori dei sistemi che li custodiscano in modo più deciso. Nel far questo ci si può confrontare con sistemi di autori della tradizione precedenti alla scolastica ed avvalersene come di radici feconde. Nella fattispecie, per rivitalizzare il nesso eucaristia-antropologia è a mio avviso degno di interesse il quadro emergente da talune pagine dell’Adversus Haereses di Ireneo di Lione.
Abstract
Thomistic systematics in eucharistic matters does not hold as well elements that belong to the Christian experience of the sacrament: it is therefore urgent that contemporary theological thought elaborates systems that safeguard them in a more strong way. In doing this, one can compare with systems of authors of the tradition before the scholastic period and make use of them as fertile roots. In this case, what emerges from the pages of Irenaeus of Lyons’ Adversus Haereses is in my opinion worthy of interest to revitalize the connection between the eucharist and anthropology
Apro questo scritto dichiarandomi onorato di partecipare alla raccolta di studi del seminario del prof. A. Bavaresco che della mia monografia Hoc facite1 si è avvalso come strumento di discussione. Colgo quindi l’occasione per sviluppare una riflessione che da quelle pagine prenda il via: intendo recuperare sinteticamente alcune debolezze della proposta tomista colà rilevate e mostrare come la tradizione passata conservi radici teologiche altre dalle quali elaborare oggi sistemi che rendano meglio ragione di ciò che la dogmatica tomista non regge adeguatamente. Nella fattispecie riporterò e commenterò sinteticamente alcune pagine dell’adversus haereses di Ireneo di Lione.
In Hoc facite rilevavo la fatica del sistema tomista nel rendere ragione, tra altre, di due istanze non secondarie di quel dato centrale per l’esperienza cristiana che è l’eucaristia: da un lato la fruizione umana del sacramento; dall’altro il fine escatologico cui il sacramento sospinge l’umano. La sottile metafisica dell’ente elaborata da Tommaso per rendere ragione della presenza di Cristo al sacramento permette alla teologia di divincolarsi dalle strettoie in cui si era impelagato il dibattito medievale, ma comporta la relativizzazione di altri aspetti del mistero2 .
1. In primo luogo, lo iato ontologico, introdotto da Tommaso tra sostanza ed accidenti nel caso specifico degli elementi consacrati, comporta la divaricazione, sugli opposti versanti dello stesso, del quid del sacramento – la presenza di Cristo – e degli atti umani che sugli elementi insistono – prendere, spezzare, mangiare, bere – (cf ST III, 77). La fruizione umana dell’eucaristia sta altrove rispetto alla consegna del Salvatore – accipite et manducate; accipite et bibite – e si sposta sull’accesso della mente illuminata dalla fede, separata nel caso specifico dagli atti corporei dello stesso soggetto pensante e credente. Essa verrà a supportare quindi una prassi plurisecolare di astensione prolungata dei credenti dalla comunione e di predilezione per forme secondarie quali la contemplazione visiva dell’ostia consacrata.
2. In secondo luogo il concetto tommasiano di transustanziazione custodisce in modo abbastanza debole il nesso tra l’eucaristia e l’escatologia. Questo secondo aspetto si realizza per vari elementi concomitanti.
a. L’impostazione sostitutiva del rapporto tra il Cristo presenziato e le sostanze di pane e vino impedisce di fare dell’eucaristia il paradigma ed il vettore del processo di escatologizzazione del creato e della storia. Pane e vino, infatti, in quanto compendio di creazione e di storia umana che sulla creazione insiste (fructum terrae/vitis et opera manuum hominum3), vengono meno e “lasciano il posto” al corpo e al sangue di Cristo4. Concepire l’eucaristia come paradigma escatologico restando dentro le coordinate del sistema tomista porterebbe quindi a pensare ad un orizzonte escatologico in cui Cristo si impone sulla realtà della creazione e sulla storia prendendone il posto5.
b. La presenza eucaristica di Cristo secondo Tommaso non comporta in modo intrinseco il mistero pasquale e quindi la resurrezione. Ciò che di Cristo si fa presente alla consacrazione è la sostanza del suo corpo e del suo sangue, che allo stato attuale è nella condizione della resurrezione. La resurrezione non fonda la presenza eucaristica, ma ne è tirata dentro in seconda battuta, quale condizione di un corpo e sangue concepiti in modo totalmente avulso dalle loro determinazioni storiche: si fosse per ipotesi celebrata la messa nel sabato santo, si sarebbe presentificata la sostanza del corpo e sangue di Cristo morto, separati dall’anima (cf ST III, 76, a. 1). La storia, in questa visione, non concerne il livello della sostanza presentificata: il mistero pasquale, cuore della historia salutis non fonda il fatto della presenza eucaristica6.
In virtù dei due elementi qui richiamati non è fuori luogo dire che, nel quadro tomista, l’escatologia concerne l’eucaristia in modo accidentale: da un lato in quanto rimangono puri accidenti gli elementi deposti sull’altare, creazione e storia che dell’escatologia sarebbero soggetti; dall’altro in quanto anche la stessa resurrezione, principio dell’escatologia, è, per così dire, “accidentale” rispetto alla presenza eucaristica di Cristo.
c. Ciò detto, va rilevato come Tommaso inserisca il vettore escatologico tra gli effetti dell’eucaristia, indicando in uno di essi la adeptio gloriae (ST III, 79, a. 2). Il quadro in cui tale elemento è inserito ne comporta tuttavia una certa qual debolezza, restringendo l’inerenza di tale spinta escatologica alla sola anima dell’uomo. Tommaso non vuole negare che l’eucaristia sia salvifica per tutto l’uomo e nel primo articolo della quaestio dedicata agli effetti del sacramento riconosce che essa opera su entrambe le dimensioni dell’umano, anima e corpo (cf ST III, 79, a. 1). Ciononostante, tale riconoscimento non gli impedisce di mantenere inalterato il principio generale per cui il soggetto cui inerisce la grazia è solo l’anima, non il corpo, che in sé non è soggetto di grazia. Il corpo beneficia “a cascata” degli effetti di quella grazia che l’eucaristia conferisce all’anima, sia al presente sia nel futuro stato di gloria (cf ST III, 79, a. 1, ad 3). Se al presente – lo abbiamo ricordato sopra al punto 1 – il corpo non ha ruolo intrinseco nella fruizione della grazia del sacramento, nemmeno alla fine, nella condizione della resurrezione futura dopo il giudizio, il corpo avrà un ruolo primario in quella gloria cui la grazia conduce: sarà solo l’anima ad intendere direttamente sul ciò che la rende beata, la visione di Dio. La visione beatifica per se è un atto della sola anima intellettuale, ad essa il corpo ha accesso solo per accidens (cf ST suppl., 92, a. 1-2) Se dunque è vero che l’antropologia tommasiana, per la sua assunzione del concetto aristotelico di anima forma corporis, si muove in un ori-zzonte tendenzialmente unitario e genera una visione escatologica che cerca di coinvolgere a pieno titolo la resurrezione dei corpi (cf ST suppl., 93, a. 1), resta il fatto che la natura prettamente intellettuale della beatitudine e della grazia, unite alla divaricazione dualista della metafisica dell’ente nel caso eucaristi-co, comportano la marginalizzazione del corpo, della sensorialità, dal cuore del trattato eucaristico e la restrizione della sua portata escatologica propria alla sola vita dell’anima. Per il caso eucaristico, dunque, mi pare che si possa parlare di una certa qual regressione in direzione “platonica” che, riducendo l’eucaristia a “cibo dell’anima”7, può aver contribuito – quantomeno avallandola – alla caduta, nel vissuto spirituale, della tensione escatologica intrinseca al fatto eucaristia.
Gli elementi dell’eucaristia che il sistema tomista non regge adeguatamente non sono certo secondari: la forma conviviale della fruzione del sacramento sta nel mandato del Salvatore ed è parte della forma in cui sin dall’inizio il sacramento viene celebrato; lo stesso dicasi del suo ruolo escatologico che emerge dal nuovo testamento (cf 1 Cor. 11,26; Jo. 6,54) e di cui sono intessuti i testi della liturgia. Urge quindi alla teologia cattolica ritrovare una forma di comprensione della ratio sacramenti eucaristica che non lasci fuori come se-condari tali elementi.
Se – stando a Dei Verbum 8 – la tradizione progredisce in direzione escatologica anche grazie alla riflessione teologica, quale sua funzione, e ciò non impone che le soluzioni materiali alle istanze che la storia propone debbano già trovarsi nel passato della riflessione credente, ciononostante può essere utile ritrovare alle nostre spalle, nella storia del pensiero, radici che ci supportino nel pensare in modo nuovi la fede e nel consegnarla al futuro.
Per quanto concerne l’eucaristia, ritengo che una radice feconda per sopperire alle debolezze evidenziate della sistematica tomista si trovi nelle pagine di Ireneo di Lione8, in ciò che, dai suoi pochi cenni, lascia intendere del modo in cui egli, e con lui probabilmente l’ambiente spirituale da cui proviene, pensa l’eucaristia.
Il concetto di “eucaristia” è un dato trasversale all’opera di Ireneo, quale atteggiamento fondamentale del credente di fronte alla creazione ed alle opere di Dio in essa. Tale atteggiamento si oppone al disprezzo di marca platonica che i suoi avversari – gli gnostici valentiniani soprattutto – mostrano verso il cosmo sensibile. È tale atteggiamento spirituale trasversale che si compendia, per così dire, nel momento celebrativo della chiesa sul quale Ireneo ci ha lasciato alcune pagine9. Queste si concentrano prevalentemente nei libri quarto e quinto dell’adversus haereses (H). In H 4,17,5-18,5 egli ne tratta soprattutto nella prospettiva del sacrificio della nuova alleanza; in H 5,2,2-3 si sofferma maggiormente sulla sua portata antropologica ed escatologica. L’attenzione della critica si è purtroppo sovente attestata su queste pagine solo per discuterne la corrispondenza con la dogmatica della propria tradizione confessionale, interro-gando i testi con domande estranee al contesto in cui essi sono stati scritti10. Ciò ha portato, a mio avviso, a perdere di vista elementi fecondi della riflessione del Lionese. Questi vorrei sinteticamente riprendere per mostrare una via altra che la tradizione passata ci consegna per pensare la ratio sacramenti dell’eucaristia.
Conformemente al focus antropologico di questo scritto, mi soffermo dunque sui passi del libro quinto di cui riporto di seguito il testo latino e i frammenti greci pervenutici (secondo l’edizione critica di Sources Chretiennes) e una mia traduzione abbastanza letterale. Sulla sinistra una numerazione delle proposizio-ni per facilitare l’indicazione dei loci nel commento a seguire.
Irenaeus, adversus haereses 5,2,2-3 (SCh 153, 30-38)
Latino
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Frammenti greci
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Mia traduzione
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a) Vani autem omnimodo qui universam dispositionem Dei contemnunt et carnis salutem negant et regenerationem ejus spernunt, dicentes non eam capacem esse incorruptibilitatis. Si autem non salvetur haec, videlicet nec Dominus sanguine suo redemit nos, neque calix Eucharistiae communicatio sanguinis ejus est, neque panis quem frangimus communicatio corporis ejus est. |
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Sono del tutto stolti coloro che disprezzano l’intera creazione di Dio e negano la salvezza della carne e disdegnano la sua rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se la carne non venisse salvata, allora nemmeno il Signore ci avrebbe redento col suo sangue, né il calice dell’eucaristia è comunione al suo sangue, né il pane che spezziamo è comunione al suo corpo. |
b) Sanguis enim non est nisi a venis et carnibus et a reliqua quae est secundum hominem substantia, quae vere factum Verbum Dei sanguine suo redemit nos. Quemadmodum et Apostolus ejus ait: In quo habemus redemptionem per sanguinem ejus, remissionem peccatorum. |
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Il sangue infatti non è se non quello dalle vene e dalle carni e da tutta la rimanente sostanza umana: fattosi questa il Verbo di Dio ci ha redenti con il suo sangue. Come anche il suo apostolo ha detto: “Nel quale abbiamo la redenzione attraverso il suo sangue, la remissione dei peccati”. |
c) Et quoniam membra ejus sumus et per creaturam nutrimur, creaturam autem ipse nobis praestat, solem suum oriri faciens et pluens quemadmodum vult, eum calicem qui est creatura suum sanguinem confessus est, ex quo auget nostrum sanguinem, et eum panem qui est a creatura, suum corpus confirmavit, ex quo nostra auget corpora. |
Ἐπειδὴ μέλη αὐτοῦ ἐσμεν καὶ διὰ τῆς κτίσεως τρεφόμεθα, τὴν δὲ κτίσιν αὐτὸς ἡμῖν παρέχει, τὸν ἥλιον αὐτοῦ ἀνατέλλων καὶ βρέχων καθὼς βούλεται, τὸ ἀπὸ τῆς κτίσεως ποτήριον ἴδιον αἷμα ὡμολόγησεν, ἐξ οὗ δεύσει τὸ ἡμέτερον αἷμα, καὶ τὸν ἀπὸ τῆς κτίσεως ἄρτον ἴδιον σῶμα διεβεβαιώσατο, ἀφ’ οὗ τὰ ἡμέτερα αὔξει σώματα. |
E poiché siamo sue membra e veniamo nutriti per mezzo della creazione – ed è lui stesso che dona a noi la creazione, facendo sorgere il sole e facendo piovere quando vuole – quel calice che è dalla creazione ha professato suo sangue, del quale accresce il nostro sangue, e quel pane che è dalla creazione ha confermato essere suo corpo, del quale accresce i nostri corpi. |
d) Quando ergo et mixtus calix et factus panis percipit verbum Dei et fit Eucharistia sanguinis et corporis Christi, ex quibus augetur et consistit carnis nostrae substantia, quomodo carnem negant capacem esse donationis Dei quae est vita aeterna, quae sanguine et corpore Christi nutritur et membrum ejus ? |
Ὁπότε οὖν καὶ τὸ κεκραμένον ποτήριον καὶ ὁ γεγονὼς ἄρτος ἐπιδέχεται τὸν λόγον τοῦ Θεοῦ καὶ γίνεται εὐχαριστία καὶ σῶμα Χριστοῦ, ἐκ τούτων τε αὔξει καὶ συνέστηκεν ἡ τῆς σαρκὸς ἡμῶν ὑπόστασις, πῶς δεκτικὴν μὴ εἶναι τὴν σάρκα λέγουσι τῆς δωρεᾶς τοῦ Θεοῦ, ἥτις ἐστὶ ζωὴ αἰώνιος, τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος καὶ αἵματος τοῦ Κυρίου τρεφομένην καὶ μέλος αὐτοῦ ὑπάρχουσαν; |
Quando dunque il calice mesciuto ed il pane confezionato riceve il verbo di Dio e diventa eucaristia del sangue e del corpo [gr.: eucarisita e corpo di Cristo], dai quali cresce e trae sussistenza la sostanza della nostra carne, come possono negare che sia capace di quel dono di Dio che è la vita eterna la carne che è nutrita del sangue e corpo di Cristo ed è suo membro? |
e) Quemadmodum et beatus Apostolus ait in epistola quae est ad Ephesios: Quoniam membra sumus corporis ejus, de carne ejus et de ossibus ejus, non de spiritali aliquo et invisibili homine dicens haec – spiritus enim neque ossa neque carnes habet – sed de ea dispositione quae est secundum verum hominem, quae ex carnibus et nervis et ossibus consistit, quae de calice qui est sanguis ejus nutritur, et de pane quod est corpus ejus augetur. | Καθὼς ὁ μακάριος Ἀπόστολός φησιν ἐν τῇ πρὸς Ἐφεσίους ἐπιστολῇ ὅτι «Μέλη ἐσμὲν τοῦ σώματος αὐτοῦ, ἐκ τῆς σαρκὸς αὐτοῦ καὶ ἐκ τῶν ὀστέων αὐτοῦ», οὐ περὶ πνευματικοῦ τινος καὶ ἀοράτου ἀνθρώπου λέγων ταῦτα, «τὸ γὰρ πνεῦμα οὔτε ὀστέα οὔτε σάρκας ἔχει», ἀλλὰ περὶ τῆς κατὰ τὸν ἀληθινὸν ἄνθρωπον οἰκονομίας, τῆς ἐκ σαρκῶν καὶ νεύρων καὶ ὀστέων συνεστώσης, ἥτις καὶ ἐκ τοῦ ποτηρίου ὅ ἐστιν αἷμα αὐτοῦ τρέφεται καὶ ἐκ τοῦ ἄρτου ὅ ἐστι σῶμα αὐτοῦ αὔξεται. | Come il beato apostolo dice nella lettera agli Efesini: “Poiché siamo del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa”, non sta dicendo queste cose di un qualche uomo spirituale ed invisibile – uno spirito infatti non ha né ossa né carni – ma di quella creazione che concerne il vero uomo, la quale è fatta di nervi ed ossa, che è nutrita del calice che è il Suo sangue ed è accresciuta dal pane che è il suo corpo. |
f) Et quemadmodum lignum vitis depositum in terram suo fructificat tempore, et granum tritici decidens in terram et dissolutum multiplex surgit per Spiritum Dei qui continet omnia, quae deinde per sapientiam in usum hominis veniunt, et percipientia verbum Dei Eucharistia fiunt, quod est corpus et sanguis Christi, sic et nostra corpora ex ea nutrita et reposita in terram et resoluta in ea resurgent in suo tempore, Verbo Dei resurrectionem eis donante in gloriam Dei Patris: qui huic mortali immortalitatem circumdat et corruptibili incorruptelam gratuito donat, quoniam virtus Dei in infirmitate perficitur […]. |
Καὶ ὅνπερ τρόπον τὸ ξύλον τῆς ἀμπέλου κλιθὲν εἰς τὴν γῆν τῷ ἰδίῳ καιρῷ ἐκαρποφόρησε, καὶ «ὁ κόκκος τοῦ σίτου πεσὼν εἰς τὴν γῆν» καὶ διαλυθεὶς πολλοστὸς ἠγέρθη διὰ τοῦ Πνεύματος τοῦ Θεοῦ τοῦ συνέχοντος τὰ πάντα, ἔπειτα δὲ διὰ τῆς σοφίας τοῦ Θεοῦ εἰς χρῆσιν ἐλθόντα ἀνθρώπων καὶ προσλαμβανόμενα τὸν λόγον τοῦ Θεοῦ εὐχαριστία γίνεται, ὅπερ ἐστὶ σῶμα καὶ αἷμα τοῦ Χριστοῦ, οὕτως καὶ τὰ ἡμέτερα σώματα ἐξ αὐτῆς τρεφόμενα καὶ τεθέντα εἰς τὴν γῆν καὶ διαλυθέντα ἐν αὐτῇ ἀναστήσεται ἐν τῷ ἰδίῳ καιρῷ, τοῦ Λόγου τοῦ Θεοῦ τὴν ἔγερσιν αὐτοῖς χαριζομένου εἰς δόξαν Θεοῦ καὶ Πατρός, ὃς ὄντως τῷ θνητῷ τὴν ἀθανασίαν περιποιεῖ καὶ τῷ φθαρτῷ τὴν ἀφθαρσίαν προσχαρίζεται, ὅτι ἡ δύναμις τοῦ Θεοῦ ἐν ἀσθενείᾳ τελειοῦται […]. |
E come il legno della vite deposto nella terra fruttifica [gr.: fruttificò] a suo tempo, e “il chicco di grano caduto in terra” e dissoltosi sorge [gr.: sorse] molteplice per opera dello Spirito di Dio che contiene tutto, e poi [questi elementi] per la sapienza [gr.: di Dio] pervengono all’uso dell’uomo [gr.: degli uomini], e ricevendo il Verbo di Dio divengono eucaristia, che è corpo e sangue di Cristo, così anche i nostri corpi, nutriti di essa e deposti nella terra e dissoltisi in essa, risorgeranno a suo tempo, quando il Verbo di Dio donerà loro la resurrezione nella gloria di Dio Padre: il quale [gr.: veramente] questo [corpo] mortale avvolge di immortalità e a questo [corpo] corruttibile gratuitamente dona l’incorruttibilità, poiché la potenza di Dio si compie nella debolezza […]. |
Il contesto di queste pagine è la polemica con quei cristiani – gnostici, marcioniti, ma anche ortodossi – che negano la salvezza della carne nel piano di Dio, e che propugnano quindi, in forme diverse, un’escatologia concernente la sola dimensione “interiore” dell’umano. Tra gli argomenti che usa, Ireneo ricorre anche alla pratica dell’eucaristia: [a] celebrarla professandone la sua pretesa fondamentale – che cioè in essa si viene messi in comunione reale con la carne ed il sangue del Verbo incarnato e che ciò è atto volto alla salvezza dell’uomo – denunzia come incoerenti le concezioni escatologiche “spiritualiste” e residuali dei suoi interlocutori. Questo utilizzo argomentativo dell’eucaristia11 lo porta ad esplicitarne la sua comprensione di cui mettiamo in evidenza gli elementi per noi qui rilevanti.
1. C’è un rapporto diretto tra la resurrezione della carne e l’eucaristia: questa è, nella storia, elemento di trazione dell’integrità dell’umano in direzione escatologica [f]12.
2. L’eucaristia inerisce come tale direttamente sulla dimensione corporea dell’uomo. Ireneo non la concepisce meramente come “cibo dell’anima”: sono il pane ed il vino eucaristizzati, quindi corpo e sangue di Cristo, che nutrono la carne ed il sangue dell’uomo e le donano crescita. È del tutto fuori luogo supporre che Ireneo stia parlando qui metaforicamente: per lui l’eucaristia è il luogo per il quale la carne ed il sangue di Cristo nella loro realtà vengono in contatto salvifico con la realtà corporea esperibile dell’uomo [b; e]. La specificazione dell’inerenza dei primi sulla seconda nei termini del ‘far crescere’ e del ‘dare sussistenza’ è eloquente in merito: l’eucaristia insiste nel processo per cui il cor-po, per la via della nutrizione, cresce nella storia13. La carne ed il sangue sono soggetti capaci della grazia [d; e]14.
È significativo rilevare la stessa struttura di pensiero già in Giustino, autore conosciuto ed apprezzato da Ireneo. Al termine della sua prima apologia, nelrendere conto delle celebrazioni dei cristiani, scrive:
«[…] quel nutrimento (τροφήν) eucaristizzato per mezzo della parola di preghiera da lui derivata, del quale sono nutrite per scambio (κατὰ μεταβολὴν τρέφονται) il nostro sangue e le nostre carni, abbiamo appreso essere la carne ed il sangue di quello stesso Gesù incarnatosi»15.
La specificazione dello “scambio” nel processo nutritivo mostra che anche per l’apologista il sacramento inerisce direttamente sul livello corporeo dell’uomo.
3. Quanto detto custodisce di converso la manducazione conviviale come intrinseca alla ratio sacramenti: è la via per mezzo della quale l’uomo ha accesso al presenziato; in quanto si fanno nutrimento, la carne di Cristo ed il suo sangue ineriscono all’umano [c-e].
4. A fondamento di questi aspetti enucleati emerge anche una nota trasversale del pensiero ireneano: una visione marcatamente continuista della storia di salvezza, per cui creazione, incarnazione, escatologia sono concepite come un continuum diacronico senza salti o interruzioni [c; f]. In questo quadro pane e vino sono frutti della creazione e, restando tali, possono ricevere il Verbo di Dio ed essere corpo e sangue di Cristo. Non è necessario che venga meno il loro esse-re creaturale perché essi siano eucaristia. L’offerta della creazione si fonde senza soluzione di continuità con l’offerta di Cristo16. L’unica azione creatrice e sal-vante di Dio insiste su tutte queste fasi del processo: è lo Spirito che contiene la creazione e la anima a far spuntare grano ed uve e a condurli ad essere nutrimen-to per la vita dell’uomo; ed è il Verbo che si impossessa di essi e li rende la sua carne ed il suo sangue senza per questo destituirli del loro essere cibo e bevanda, ma innestandosi in ciò. Proprio come cibo e bevanda, al contempo creature e realtà cristologica, essi nutrono la vita terrena dell’uomo e la preparano a conse-guire l’incorruttibilità futura nella gloria del Padre. Si tratta di una visione molto lontana dall’impostazione in cui noi siamo abituati – ormai preriflessamente – a distinguere tra creazione e salvezza, tra natura e grazia, tra vita terrena e vita eterna, tra storia ed eternità. Ireneo non conosce lo iato tra questi opposti versanti del nostro modo di impostare le cose, o, meglio, li conosce perché pervadono la teologia dei suoi avversari che dividono ontologicamente ed escatologicamente la creazione dalla salvezza, la storia dall’eternità, e ad essi si oppone, facendo di questa vita l’oggetto della cura presente ed escatologica di Dio17.
Queste sintetiche pagine in cui Ireneo lascia trapelare un modo di pensare non si possono confrontare a parità con il trattato eucaristico dell’Aquinate, sia per estensione materiale sia per articolazione dettagliata dei passaggi della riflessione. Esse però, messe accanto a quelle, restituiscono una mens altra, un quadro dai colori differenti, ed in questo confortano la sistematica contemporanea nel ricercare strade che la portino oltre il sistema tomista, a rendere conto in modo più completo dell’esperienza eucaristica. Il pensiero di Ireneo sull’eucaristia tie-ne assieme la fruizione salvifica del sacramento con il suo accesso corporeo di alimento, il dato creaturale e storico di pane e vino con la comunione reale alla vita di Cristo, la celebrazione storica presente con la propulsione forte alla piene-zza escatologica nella gloria della resurrezione della carne; il tutto senza perdere una fede fortemente realista dell’identità di pane e vino con il corpo e sangue di Cristo.
Dal punto di vista materiale, questa capacità “sintetica” dei vari contenuti in questione rende a mio avviso la sua riflessione una radice feconda da ripercorrere e sviluppare: feconda per le istanze della fede degli uomini e donne di oggi che, nelle forme del vivere contemporaneo, con insistenza chiedono di ritrovare una salus carnis troppo a lungo dimenticata dalla spiritualità mainstream; feconda per le istanze della teologia, maturate nel secolo ventesimo, che desidera ritrovare le pratiche corporee come sue funzioni intrinseche (ad esempio la liturgia per la riflessione sacramentaria), ma che, ipotecata a secoli di pensiero dualista platonizzante, le relega ancora spesso a derivazioni di second’ordine; feconda infine per il dialogo ecumenico in quanto permette alla dogmatica cattolica di recuperare, come suoi, contenuti cui la richiamano le sistematiche di altre con-fessioni o chiese18.
Anche da un punto di vista formale la comparazione tra il sistema tommasiano e le pennellate ireneane è fecondo: ci insegna infatti che la tradizione, quanto alle sue radici passate, è in certi aspetti più plurale di quanto siamo soliti pensare. Se concordano su determinate istanze – il realismo eucaristico ad esem-pio – i due quadri differiscono sui contenuti su cui ci siamo soffermati. Essi non sono riducibili l’uno all’altro, come due fasi del medesimo sviluppo delle idee. Eppure sono espressioni di autori di indubbia ortodossia che hanno cercato di rendere ragione della loro fede. Troppo spesso – prendendo in senso strettamente contenutistico l’eodem dogmate, eodem sensu, eademque sententia di Vincenzo di Lerino citato dal Concilio Vaticano I (DH 3020) – abbiamo schiacciato la sto-ria della teologia in un irreale consensus vocium che facciamo coincidere con la visione prevalente ereditata dalle epoche immediatamente precedenti la nostra, e non abbiamo saputo vedere la pluralità di piante diverse che sorgono nell’unico giardino del pensiero cristiano. Abbiamo interrogato i testi del passato solo in quanto si mostravano conformi al pensiero presente, ignorando la loro resis-tenza a questo nostro modo di interrogarli. Lo studio della patrologia mostra l’artificialità di questo modo di procedere: ci si rende ben presto conto che non tiene affatto quella frase ancora diffusa nel repertorio dei teologi, “i Padri dicevano”: perché non esiste “il” pensiero dei Padri. La lettura serena dei documenti del passato ci offre la felice sorpresa della varietà del pensiero credente e, con questo, ci riapre la possibilità di una certa creatività teologica assieme a utili piste per esercitarla.
In una recensione, si mise in dubbio l’ortodossia del mio saggio Hoc facite per il fatto che ho voluto discostarmi da Tommaso19. Senza entrare affatto in discussione con gli argomenti che portavo, il recensore criticava: non si può mettere in dicussione Tommaso perché Tommaso è la tradizione. Orbene, Tommaso non si è forse discostato – sciente o meno – da quella radice della stessa tradizione che è la concezione eucaristica su cui ci ragguaglia Ireneo? Va per questo consi-derato eterodosso o, al contrario, impone di espungere dalla tradizione come ete-rodosse le pagine del Lionese? Una concezione stretta e monolitica di tradizione infila la teologia nel vicolo cieco del pensiero settario; abbeverarsi senza miopie ai testi antichi la può aiutare invece a continuare ad essere funzione di quella Tradizione che è la consegna della fede agli uomini e donne di oggi.
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ST: THOMAS DE AQUINO, Summa theologiae.
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[1] Cf CARRA, 2018.
[2] Cf CARRA, 2018, p. 30-69; 111-120.
[3] Missale romanum: prece alla presentazione dei doni.
[4] Cf GHIRARDI, 1956.
[5] La proposta di Ratzinger di pensare l’escatologia come perdita dell’autonomia creaturale delle cose va pericolosamente in tale direzione: cf RATZINGER 1993; CARRA, 2018, p. 158-161.
[6] DURRWELL, 1982, p. 15-19; CARRA, 2018, p. 61-64.
[7] In questo Tommaso è in linea con AMBROSIUS, de sacramentis 5,23 o IDEM, de mysteriis 58, che fa dell’eucaristia il cibo dell’anima in antitesi alla sua inerenza corporea.
[8] Originario di Smirne, in Asia Minore, fa parte della chiesa di Lione nell’ultimo quarto del II secolo. Dopo il martirio del vescovo Fotino, nella persecuzione del 177-178, viene eletto vescovo di tale chiesa. Ha rapporti stretti con la chiesa di Roma presso cui è mandato, ancora presbitero, come legato della comunità lionese, e presso cui interviene con una lettera a papa Vittore in occasione della controversia sulla data della Pasqua. Le sue opere principali pervenuteci sono i cinque libri dell’adversus haereses e la demonstratio. Per notizie sulla sua figura cf la datata ma ricchissima voce di VERNET, 1923, o, in sintesi, ORBE, 2006. Per introdursi al suo pensiero, tra le tante pubblicazioni, ci si può avvalere del prezioso opuscolo di AYÁN CALVO 2004, o, più estesamente, di BENATS, 2006.
[9] Per una bibliografia sull’argomento: ALÈS, 1923; ANDIA, 1986, p. 237-255; ARÓZTEGUI ESNAOLA, 2005; AYÁN CALVO, 2004, p. 66-74; BLAS PASTOR, 2014; IDEM, 2017; CHAIEB, 2011; DIDONE, 1998; EYNDE, 1940; LAITI, 1999; IDEM, 2000; LANNE, 1997; LINDEMANN, 2017, p. 921-929; ORBE, 1989, p. 299-313; IDEM, 1985, p. 129-165; PALASHKOVSKY, 1957; UNGER, 1973.
[10] Cf ALÈS, 1923; ANDIA, 1986, p. 254-255.
[11] Cf anche H 4,18,5 (SCh 100, 610): «Come ancora dicono che sia destinata alla corruzione e che non riceva vita [gr.: partecipi della vita] la carne che è nutrita dal corpo e sangue del Signore? o dunque cambiano tesi, o smettano di offrire quei doni di cui abbiamo parlato. La nostra tesi è consonante con l’eucaristia e l’eucaristia a sua volta conferma la nostra tesi». Sull’uso dell’eucaristia come argomento dottrinale, cf BENATS, 2006, p. 157-158; CHAIEB, 2003; EADEM, 2017; LAITI, 2000, p. 103-106; MINET, 2002, p. 115-121; ORBE, 1979, p. 39-50; TREMBLAY, 1978, p. 33-35; 120-126. Discordo dalla tesi per cui gli interlocutori di queste pagine sarebbero solamente i membri ortodossi della grande chiesa dalla soteriologia platonizzante; argomento sostenuto da ORBE, 1979, p. 9-18 e ripreso da ANNA, 2017, p. 387-390.392. Lo stesso argomento infatti è utilizzato in H 4,18,4-5 (SCh 100, 608) contro coloro «che dicono che queste realtà che sono qui dalla nostra parte sono state create dalla defezione, dall’ignoranza e dalla passione», parole in cui si riconosce il riferimento agli avversari gnostici.
[12] Cf anche H 4,18,5 (SCh 100, 610-612): «Come infatti quel pane che è dalla terra, ricevendo l’invocazione di Dio, non è più pane comune, ma eucaristia, costituita di due elementi, terreno e celeste: così anche i nostri corpi ricevendo l’eucaristia non sono più corruttibili, poiché hanno la speranza della resurrezione [gr.: in eterno]»
[13] UNGER, 1973, p. 146-150; 162-163.
[14] Cf anche H 4,18,5 (SCh 100, 610): «Gli offriamo infatti quelle cose che sono Sue, coerentemente predicando la comunione e l’unità (κοινωνίαν καὶ ἕνωσιν) della carne e dello Spirito».
[15] JUSTINUS, 1 apologia 66,2 (SCh 507, 306).
[16] Cf anche H 4,18,4 (SCh 100, 608-610): «Ma come costerà loro che quel pane in cui sono state rese grazie sia il corpo del loro Signore, e il calice il suo sangue, se non confessano che lui stesso è il Figlio del Creatore, cioè il suo Verbo, per il quale il legno porta frutto e sgorgano le sorgenti e la terra da per primo lo stelo, poi la spiga, ed infine il grano pieno nella spiga?». Cf anche H 3,11,5.
[17] Un elemento che nel sistema di Ireneo regge la continuità tra la storia e l’escatologia è il millennio. Si tratta di un tempo intramondano collocato dopo la parusia e la resurrezione dei giusti in cui questi godranno con Cristo della creazione rinnovata nella loro carne risorta. Il millennio precede la consegna del Regno di Cristo al Padre, quando l’escatologia si compirà in pienezza ed i beati vedranno Dio faccia a faccia. Questo elemento, venuto meno nella riflessione successiva, impedisce di concepire l’escaton in senso eccessivamente verticale, come una eternità atemporale avulsa dalle coordinate spazio-temporali della storia, e lo dispone come sussunzione e compimento di questa storia che lo va preparando. Il millennio è descritto nei termini di un grande banchetto di festa in cui i frutti della terra, in tutto il loro inaudito rigoglio, si offriranno ai giusti affinchè questi, con Cristo, elevino sulla creazione la loro eucaristia al Padre: cf H 5,33,3. Come profezia del millennio vengono interpretate le parole di Gesù nell’ultima cena sul calice che berrà nuovo nel Regno di Dio: cf H 5,33,1. Tra i numerosi studi sul millenarismo di Ireneo segnalo: NORELLI, 1978; ORBE, 1983; PASQUIER, 2008; SIMONETTI, 1998; TANZARELLA, 1997.
[18] Ad esempio il concetto luterano della cosiddetta “consustanziazione”, difficilmente accettabile dentro il quadro tomista della metafisica aristotelica dell’ente (cf CARRA, 2018, 75-76), ritrova senso in un quadro come quello ireneano. Ireneo, non a caso, è una fonte patristica dei riformatori: cf ALÈS, 1923, p. 33. Sul dialogo ecumenico in materia, cf LEHMANN – PANNENBERG, 1990, p. 89-101.
[19] Cf GAGLIARDI, 2018, 301-308.