Gianguerrino Barbiero
Doutor em Teologia pela Hochschule St. Georgen – Frankfurt. Professor no Pontifício Instituto Bíblico de Roma – IT. Contato: barbiero@biblico.it
Resumo: O artigo oferece um estudo canônico e estrutural do Sal 85, colocando-o no contexto do terceiro livro dos Salmos (Sal 73-89). O salmo não é propriamente uma lamentação nem supõe uma moldura cultual. Ele é mais uma reflexão sapiencial sobre a palavra de Deus num momento de crise, que se identifica com as circunstâncias históricas do retorno do exílio (sec. VI a. C.), e tem no Sal 126 um paralelo. O salmo está dividido em 2 cânticos (vv. 2-8 e 9-14), cada qual composto de duas estrofes (vv. 2-4.5-8 e 9-10.11-14). O primeiro cântico exprime a queixa de Israel, confrontando a alegria do retorno em pátria (vv. 2-4) como a presente situação de sofrimento, em que parece que Deus esteja ainda encolerizado com o seu povo (vv. 5-8). O segundo cântico apresenta a resposta de Deus, pela voz do salmista. A terceira estrofe (vv. 9-10) ressalta a responsabilidade de Israel, que pode anular o projeto de paz que Deus tem para o seu povo por causa de sua teimosia. A quarta e última estrofe (vv. 11-14) prospecta, apesar de tudo, um futuro de paz em que o amor de Deus se encontrará, um dia, com o amor do homem. Para um cristão, esse encontro se realizou no nascimento de Jesus, mas precisa ainda ser realizado, pois ainda há guerra no mundo.
Palavras-chave: Lettura canonica; Il terzo libro dei Salmi; Indagine strutturale; Approccio poetico; Teologia dei Salmi; I Salmi e il Nuovo Testamento – Il Sal 85
Abstract: This article is a canonical and structural study of Psalm 85 with an emphasis on its theological dimension. Ps 85 belongs to the Third Book of the Psalter (Ps 73-89). It is not properly a lamentation nor does it have a cultic Sitz im Leben: in fact, it is a sapiential reflexion on the word of God in a time of crisis. The author identifies this time with the return from the Babylonian exile so that our psalm is a fitting parallel to Ps 126. Ps 85 has two songs: the first one presents the lamentation of Israel (vv. 2-8), the second, the answer of God through the voice of the psalmist (vv. 9-14). Each song has two strophes: vv. 2-4.5-8 and 9-10.11-14, respectively. The first strophe remembers the joy of the return, when the love of God for his people was evident (vv. 2-4). The second one contrasts it with the present situation, apparently characterized by the anger of God (vv. 5-8). In the third strophe (vv. 9-10), God paints a future of peace for his people, but his project could be nullified by their stubbornness. In the last strophe (vv. 11-14), God says that a day will come when his project will at last be realized because the love of God and the love of humans will meet together. For Christians, this day was the birth of Jesus, but the project of God is not yet fully accomplished.
Keywords: Canonical reading; Third book of the Psalter; Structural analysis; Poetry of Psalms –Theology of the Psalter; Psalm 85 – Psalms and NT
Il Sal 85 appartiene al terzo libro dei Salmi, Sal 73-89, che, al pari del secondo, si pone come una meditazione orante sulla tragedia dell’esilio (BARBIERO, 2010; STEINBERG, 2006, p. 239-253). Esso viene attribuito ai «figli di Core», che erano una classe di cânticori del secondo tempio, in epoca postesilica. Ci sono due gruppi di Salmi di Core nel salterio: il primo all’inizio del secondo libro (Sal 42-49), il secondo alla fine del terzo libro (Sal 84-88). I Salmi di Core formano così una cornice che unisce il secondo e il terzo libro, ribadendo l’unità compositiva di questi due libri (ZENGER ET AL., 2001, p. 314).
Dal punto di vista del salterio, è da osservare un altro dato. I Sal 42-83 sono chiamati «salterio eloistico», perché il nome di Dio più frequente è ʼĕlōhȋm, «Dio», mentre il resto del salterio è chiamato «salterio jahvistico», perché il nome di Dio più usato è Yhwh (RÖSEL, 1999, p. 21-38; AUWERS, 2000, p. 70-76; MITCHELL, 1997, p. 69-73; HOSSFELD, 2010; HOSSFELD-ZENGER, 2003; JOFFE, 2001; JOFFE, 2003; SÜSSENBACH, 2005). Gli studiosi non hanno ancora trovato una spiegazione scientifica di questo fenomeno, ma la tradizione rabbinica vede riflessi nei due nomi i due aspetti fondamentali del Dio di Israele, quali vengono presentati nella teofania di Es 34,6-7. Il nome ʼĕlōhȋm esprimerebbe l’aspetto della «giustizia» di Dio, mentre Yhwh rappresenterebbe quello della sua «misericordia» (MILLARD, 1998, p. 88-89). Vale a dire che gli ultimi salmi del terzo libro (Sal 84-89) rappresenterebbero più la misericordia che la giustizia di Dio, che si è rivelata nella tragedia dell’esilio. Effettivamente il Sal 85 è fondamentalmente un salmo non di giudizio, ma di speranza, così come i salmi vicini, i Sal 84; 86 e 87.
1. Per il maestro del coro. Dei figli di Core. Un salmo.
(A) Lamento di Israele (vv. 2-8)
2. Hai voluto bene, Yhwh, alla tua terra,
hai ristabilito la sorte di Giacobbe.
3. Hai perdonato la colpa del tuo popolo,
hai coperto ogni loro peccato (pausa).
4. Hai ritirato tutto il tuo sdegno,
sei tornato indietro dall’ardore della tua ira.
5. Ristabiliscici, Dio della nostra salvezza,
e metti fine al tuo sdegno verso di noi.
6. Sarai tu forse per sempre adirato contro di noi,
prolungherai la tua ira di generazione in generazione?
7. Non tornerai tu forse a darci vita,
perché in te si rallegri il tuo popolo?
8. Mostraci, Yhwh, il tuo amore,
e donaci la tua salvezza.
(B) Risposta di Dio (vv. 9-14)
9. Ascolterò che cosa dice Dio, Yhwh:
certo parlerà di pace
per il suo popolo e per i suoi amici,
purché non ritornino alla stoltezza.
10. Davvero vicina a chi lo teme è la sua salvezza,
perché gloria abiti nella nostra terra.
11. Amore e Fedeltà si sono incontrate,
Giustizia e Pace si sono baciate.
12. Fedeltà germoglierà dalla terra,
e Giustizia dal cielo (già) si è affacciata.
13. Sì, Yhwh concederà il bene
e la nostra terra darà il suo frutto.
14. Giustizia andrà davanti a lui,
e farà dei suoi passi un cammino.
Per ciò che riguarda la traduzione, notiamo una differenza nel v. 2 tra la vecchia e la nuova traduzione CEI. La vecchia diceva: «Hai ricondotto i deportati di Giacobbe»; la nuova: «Hai ristabilito la sorte di Giacobbe». Il verbo ebraico šwb ha due significati: «ristabilire la sorte» e «ritornare, tornare indietro», o anche, in senso metaforico, «convertirsi» (così al v. 4: la conversione si dice in ebraico tešûbâ) (PREUSCHEN, 1895; DIETRICH, 1925; BAUMANN, 1929; BRACKE, 1985; LOADER, 2010). Il testo del v. 2 perciò è aperto a tutte e due le interpretazioni: probabilmente il significato di «ristabilire la sorte» è primario. Ma l’altro non è da escludere: il ristabilimento della sorte di Israele include, per gli esuli, il ritorno nella terra promessa.
Di solito il Sal 85 viene classificato tra le «lamentazioni collettive» e viene inteso come un dialogo tra l’assemblea (il «noi» ai vv. 2-8) e un sacerdote o un profeta cultuale (ai vv. 9-14), che risponde pronunciando un oracolo a nome di Dio («Ascolterò cosa dice Dio, Yhwh», v. 9) (così, tra gli altri: GUNKEL, 1986, p. 373; MOWINCKEL, 1923, p. 54-59; WEISER, 1984, vol. II, p. 628; KRAUS, 1978, p. 754). Ma, a ben vedere, mentre nell’oracolo profetico è Dio stesso a parlare (vedi per esempio il Sal 50), qui l’autore parla a nome proprio e parla di Dio in terza persona. Riferisce il pensiero, non le parole di Dio. L’autore, più che un profeta, sembra essere un sapiente, che ben conosce la Parola di Dio e trae da essa un messaggio di speranza per la sua gente, che sta passando per un momento difficile (KÖRTING, 2021, p. 154-155; TATE, 1990, p. 367). Al riguardo, l’esegesi recente parla di salmi «postcultuali», non legati ad una celebrazione liturgica.
Anche per un altro aspetto il Sal 85 non è un tipico salmo di lamentazione. Di solito, in questi salmi, l’autore comincia con l’esposizione della sofferenza e termina con parole di rassicurazione. Qui invece l’ordine è inverso. All’inizio, il salmista ringrazia Dio perché si è dimostrato buono con il suo popolo, perdonando tutti i peccati, non dando sfogo alla sua ira, ecc. (vv. 2-4). Poi invece ai vv. 5-8 sembra che Dio non abbia per niente perdonato, che continui ad essere in collera con Israele («Sarai tu sempre adirato contro di noi, prolungherai la tua ira di generazione in generazione?»).
È possibile intravedere le circostanze storiche del salmo? Forse sì, anche se il salmo è abbastanza vago, in modo che in ogni epoca chi lo prega possa riconoscersi in esso. Il v. 7 («Non tornerai tu forse a darci vita?») suggerisce un’epoca precisa. Il profeta Ezechiele, vissuto durante l’esilio, paragona gli esuli in Babilonia ad una valle di ossa inaridite, e il ritorno in patria come una risurrezione (cf. Ez 37). E dunque, la prima volta che Dio «ha fatto vivere» Israele, perdonando i suoi peccati, è stata appunto il ritorno in patria: questo è lo sfondo storico della prima strofa del salmo, i vv. 2-4. Il Deuteroisaia dipinge con colori paradisiaci il viaggio da Babilonia alla terra d’Israele sotto la guida di Dio (cf. Is 40,1-11) (KÖRTING, 2021, p. 149; KRAUS, 1978, p. 755).
Ma presto il ritorno nella terra santa si è dimostrato tutt’altro che un paradiso: gli esuli, tornati in patria, hanno trovato le città distrutte, le campagne abbandonate e occupate da altri inquilini. Il lamento dei vv. 5-8 contrappone al quadro radioso del passato, quello doloroso del presente, esprimendo le difficoltà del postesilio. Questo è anche il Sitz im Leben del Tritoisaia (Is 56-66), dei profeti Aggeo e Zaccaria, che si rivolgono agli Israeliti dopo il ritorno dall’esilio, alle prese con gravi problemi economici e sociali. Già una volta il Signore «ha dato vita» al suo popolo, facendolo ritornare dall’esilio, e ciò è garanzia che egli «tornerà» ora a fare il miracolo, darà vita una seconda volta al suo popolo che si trova nella sofferenza (COETZEE, 2009, p. 554: EMMENDÖRFER, 1998, p. 251-253). Tu, che già hai operato il prodigio del ritorno, asciuga ora, una seconda volta, le lacrime dei nostri occhi.
Lo stesso sfondo ha il Sal 126. Anche qui il salmo inizia con la gioia del ritorno dall’esilio («Quando Yhwh ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare…», v. 1), ma poi il salmista confronta il passato con il presente, e chiede: «Ristabilisci, Yhwh, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb» (v. 4) (KISSANE, 1953-1954, vol. II, p. 72). Così anche nel nostro salmo: comincia con la gioia del passato: «Hai ristabilito la sorte di Giacobbe» (v. 2), poi passa alla supplica del presente: «Ristabiliscici, Dio della nostra salvezza» (v. 5) (ROKAY, 1991, il quale suggerisce come data per il Sal 85 l’anno 521 a.C.).
Il Sal 85 è un piccolo capolavoro letterario, costruito con consumata maestria (SEYBOLD, 2007; WENDLAND, 2011; ONDOUA OMGBA, 2021). Se lasciamo fuori il titolo, esso è composto di 14 versi (il v. 9 consta di due versi ritmici, FOKKELMAN, 2000, p. 240, n. 45) e 28 stichi, due per verso. La presenza del tetragramma, Yhwh, nei vv. 2.8.9.13 divide il salmo in due stanze, incorniciate ciascuna da questo nome, la prima dei vv. 2-8, la seconda dei vv. 9-14: ciascuna di esse consta di 7 versi ritmici. Nella prima stanza Israele/Giacobbe si rivolge al «tu» di Dio («Hai voluto bene, Yhwh, alla tua terra…»); nella seconda il salmista in prima persona riporta la risposta di Dio alla preghiera del popolo («Ascolterò cosa dice Dio, Yhwh…»).
A loro volta, le due stanze si dividono in due strofe ciascuna (TRUBLET – ALETTI, 1983, p. 84-85; HOSSFELD – ZENGER, 2000, p. 528-529; ZENGER, 1999, p. 244-246; GIRARD 1994-1996, vol. II, p. 438-447; WENDLAND, 2011; WEBER, 2001-2010, vol. II, p. 91; VESCO, 2010-2011, p. 771-773).. Nella prima stanza, le due strofe sono costituite dai vv. 2-4 e 5-8, rispettivamente di 3 e 4 versi ciascuna. Esse sono delimitate dall’inclusione mediante il verbo šwb, «ritornare, ristabilire» (ai vv. 2.4.5.7). Come abbiamo visto, esse contrappongono al passato radioso di Israele (prima strofa, vv. 2-4), il presente miserevole (seconda strofa, vv. 5-8). Nella prima strofa si parla di Israele alla III pers. plurale («essi»), mentre nella seconda viene usata la I pers. plurale («noi»).
Anche la seconda stanza si divide in due strofe: vv. 9-10 e 11-14 (diversamente RENAUD, 1995; ONDOUA OMGBA, 2021; ZUCKER, 2007, e alri, che considerno unitariamente i vv. 9-14), anche qui abbiamo sette versi ritmici, tre più quattro. L’inizio di ogni strofa è caratterizzato dal termine šālôm, «pace» (vv. 9.11). Se le prime due strofe riguardavano rispettivamente il passato (vv. 2-4) e il presente (vv. 5-8), le ultime due riguardano il futuro (cf. RENAUD, 1995, p. 133). La prima (vv. 9-10) lo dipinge come il progetto di Dio, che però l’uomo potrebbe vanificare («purché non ritornino alla stoltezza», v. 9), la seconda (vv. 11-14) annuncia la realizzazione di questo progetto, l’incontro tra il dono di Dio e la risposta dell’uomo. Il nome del progetto di Dio per il suo popolo è šālôm, «Pace» (vv. 9.11).
Ho già menzionato alcune ripetizioni, che sono importanti per cogliere la struttura e il messaggio del salmo: Yhwh (4 volte); šwb, «ritornare, ristabilire la sorte, convertirsi» (5 volte: vv. 2.4.5.7.9); šālôm, «pace» (2 volte). Aggiungiamo ancora il termine ʼereṣ, «terra» (4 volte, vv. 2.10.12.13), che funge da inclusione per il salmo intero («la tua terra», v. 2; «la nostra terra», v. 13), e poi i tre attributi divini: ḥesed, «amore» (vv. 8.9.11, cf. 2); ṣedeq, «giustizia» (vv. 11.12.14, inclusione per l’ultima strofa); ʼemet, «fedeltà, verità» (vv. 11.12). Altre ripetizioni lascio a voi trovarle: ogni ripetizione equivale ad una sottolineatura, e dice l’importanza di questa parola.
Nella prima stanza del salmo, vv. 2-8, Israele si rivolge direttamente al «tu» divino, che non casualmente viene chiamato Yhwh (vv. 2.8: inclusione), il nome della misericordia.
Nei vv. 2-4 Israele guarda al passato, rievoca i benefici di Dio. Però qui, a differenza dal Sal 44, non si parla della storia della salvezza in generale. L’autore parla dell’avvenimento della salvezza come un «perdono» dei peccati del popolo. I peccati a cui il testo allude, sono quelli che hanno condotto alla tragedia dell’esilio (587a.C). Alla scuola dei profeti, Israele ha capito che l’esilio era la giusta punizione di Dio per i peccati di Israele (ricordiamo il Sal 51). Il ritorno in patria, nell’anno 538 a.C., è visto dal nostro salmo come frutto del perdono di Dio. Dio è anche giustizia, ma in lui la misericordia è più grande della giustizia, la sua collera non può durare per sempre, e il ritorno in patria di Israele ne è stata la dimostrazione.
La terminologia usata dal nostro salmo: «Hai perdonato la colpa del tuo popolo, hai coperto ogni loro peccato» (v. 3), rimanda al libro dell’Esodo, esattamente al primo peccato di Israele, il peccato del vitello d’oro (Es 32-34). Dopo il peccato, di fronte alla giustizia di Dio che vorrebbe distruggere il popolo, Mosè intercede e ottiene che Dio «si penta» del male che voleva fare al suo popolo (cf. Es 32,14). Dal momento che il popolo non riesce a convertirsi, il futuro del popolo è possibile solo se Dio si converte. A questa «conversione» di Dio allude il v. 4 del nostro salmo: «Ti sei convertito, lett.: “sei tornato indietro”, dall’ardore della tua ira». Notate il paradosso di questa affermazione! Il ritorno dall’esilio è frutto non tanto della conversione di Israele, ma di quella di Dio. Gli studiosi oggi datano il racconto del vitello d’oro, dello stesso tempo del Sal 85, cioè del periodo postesilico (BARBIERO, 2002, p. 27-43). Il cuore di questi capitoli è la teofania di Dio di Es 34,6-7, in cui Dio rivela la sua misericordia: «Yhwh Yhwh, Dio di misericordia e di grazia, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona colpa, trasgressione e peccato, ma certo non lascia il colpevole senza punizione».
Il ritorno dall’esilio è stata la prova che Dio non vuole la morte del popolo peccatore, ma in lui la misericordia ha sempre l’ultima parola.
La seconda strofa va dal v. 5 al v. 8. Oltre che dal tema del «ritorno – ristabilimento» (šwb, vv. 5.7) essa è inclusa da quello della «salvezza» (yšʽ, da qui viene il nome di «Gesù», vv. 5.8). Come, nel ritorno dall’esilio, Israele ha visto risplendere la misericordia di Dio, così nella situazione di sofferenza che ha trovato nella terra promessa ha sentito il perdurare dell’ira del suo Signore. I salmi ci insegnano a vivere la nostra vita, le gioie e i dolori, in dipendenza da Dio.
Proprio l’esperienza del ritorno ha fatto capire a Israele che l’ira del Signore è solo un episodio del suo rapporto con lui, mentre la sua misericordia dura per sempre. Ora Israele si appoggia a questa coscienza per chiedere che Dio deponga il suo sdegno. Il suo popolo non può vivere sotto l’ira di Dio. La vita per Israele è comunione con Dio. Il volto luminoso di Dio è la fonte della vita e della gioia di Israele. Non è tanto la povertà che lo spaventa, quanto il peso dell’ira di Dio sulla sua vita: «Non tornerai tu forse a darci vita perché in te si rallegri il tuo popolo». La vita non è tanto abbondanza di beni terreni, ma «rallegrarsi in te», sentire la gioia di essere amati da Dio.
Il Weiser vede il passaggio dalla prima alla seconda strofa come il passaggio, tipico della salvezza biblica, tra il «già» e il «non ancora», tra «fede posseduta» e «fede sperata»(WEISER, 1984, vol. II, p. 629). Anche per noi, cristiani, la salvezza è venuta in Gesù Cristo, ma ogni anno noi aspettiamo che venga, fino al giorno della venuta finale. Siamo salvati, ma ancora da salvare. Le guerre, la fame, i disastri ambientali ci ricordano che la salvezza è ancora da venire.
Il tema della salvezza incornicia la strofa (vv. 5.8). Il versetto finale è emblematico, ed è stato ripreso nella liturgia cristiana: ««Mostraci, Yhwh, il tuo amore: donaci la tua salvezza». Il salmista si fonda sulla certezza dell’amore di Dio per chieder di essere salvato. Come nel ritorno dall’esilio, così anche ora Israele sa che solo Dio può «salvarlo». Se c’è una certezza nel salterio, è proprio questa. La salvezza dell’uomo non è nelle mani dell’uomo, ma in quelle di Dio. Donaci la «tua» salvezza. La salvezza è sempre un «dono», mai meritato. Al più tardi al momento della nostra morte noi impariamo che solo Dio ci può salvare.
Così termina la seconda strofa e la prima stanza, incorniciata dal tema dell’amore. È stato l’amore di Dio che un tempo ha salvato Israele dall’esilio: «Hai voluto bene, Yhwh, alla tua terra» (v. 2). Se c’è una salvezza nella presente situazione di disperazione, sarà ancora frutto di questo amore: «Mostraci, Yhwh, il tuo amore» (v. 8). Quasi a dire: il tuo amore è più grande dei nostri peccati!
Nella seconda stanza (vv. 9-14) Dio risponde, attraverso un suo intermediario, alla supplica del popolo nei precedenti versetti. La parola šālôm, «pace», ai vv. 9 e 11 segnala la divisione della stanza nelle due strofe: 9-10 e 11-14.
Nella prima strofa (vv. 9-10) appare un «io», l’unico del salmo: «Ascolterò che cosa dice Dio, Yhwh». Più che a un oracolo profetico, il contesto, dicevamo, porta a pensare che si tratti del salmista stesso che cerca una risposta alla situazione del popolo consultando la Parola di Dio (GERSTENBERGER, 1988-2001, vol. II, p. 129; KÖRTING, 2021, p. 154; TATE, 1990, p. 369). In effetti il testo è denso di citazioni bibliche: i paralleli conducono da una parte ai capp. 32-34 dell’Esodo, sopra citati, dall’altro ai profeti del postesilio, il Tritoisaia, Aggeo, Zaccaria. È attraverso la meditazione amorosa della Scrittura che il salmista trova le parole per dare speranza al popolo in preda alla disperazione. Il verbo «ascoltare», con cui inizia la prima strofa, è il verbo con cui inizia la preghiera quotidiana di ogni pio ebreo: šemaʽ yiśrāʼēl, «Ascolta, Israele». Il salmista può dire una parola di speranza perché prima ha ascoltato la Parola di Dio.
Ebbene, la Parola detta da Dio suona «Pace». Il termine ebraico šālôm non indica soltanto, negativamente, l’assenza di guerra (che è già importante, come l’esperienza di questi giorni ci ricorda drammaticamente), ma anche, positivamente, pienezza di vita, benessere, tutto ciò che poi l’ultima strofa metterà in evidenza: amore, fedeltà, giustizia, abbondanza dei prodotti della terra.
L’annuncio della pace non è certamente tipico dei profeti preesilici, che erano soliti ad annunciare il castigo divino al popolo che si cullava in false sicurezze. Geremia mette in guardia dai falsi profeti che annunziano «pace, pace», mentre non c’è pace (cf. Ger 6,14; 8,11). La profezia del castigo divino si era avverata con la distruzione di Gerusalemme e l’esilio. Dei profeti esilici è tipico il messaggio di salvezza, per dare speranza ad un popolo tentato dalla disperazione. Citiamo dal Tritoisaia: «Voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: “Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice Yhwh – e io li guarirò”» (Is 57,18-19; cf. 52,7; Zc 1,13; 9,9-10). O anche: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace, come un torrente in piena, la gloria delle genti» (Is 66,12).
Il tema della «gloria», in parallelo con quello della «pace», è presente anche nel nostro salmo: «… perché gloria abiti nella nostra terra» (Sal 85,10). La traduzione CEI («perché la sua gloria abiti la nostra terra») non è corretta (così anche DAHOOD, 1965-1970, vol. II, p. 289; KSELMAN, 1984; HOSSFELD – ZENGER, 2000, p. 532; KÖRTING, 2021, p. 151). Il pronome possessivo non c’è nel testo ebraico e neanche nella LXX. Senza il pronome possessivo, il termine «gloria» indica, come nel testo di Isaia sopra citato, non la presenza di Dio ma l’abbondanza di beni (DELITZSCH, 1984, p. 559; GOLDINGAY, 2006-2008, vol. II, p. 612). Ciò di cui qui si parla è la gloria della terra, non quella di Dio (questo sarebbe un tema interessante, ma non corrisponde al testo del nostro salmo).
Il tema della «terra» è importante nel Sal 85. Abbiamo visto l’inclusione tra inizio del salmo («la tua terra», v. 2) e la sua fine («la nostra terra», v. 13). Al v. 10 si parla ancora della «nostra terra» e al v. 12 della «terra» in generale (il numero 4 è simbolo di universalità, le 4 dimensioni dello spazio!).
Una tale insistenza sulla «terra» fa pensare ad un elemento fondamentale nelle religioni del Vicino Oriente Antico (VOA), cioè al dono della pioggia. Come il Brasile, dove il problema della seca è una endemia, il VOA è soggetto a siccità periodiche, tanto che il dio della pioggia, Baal, era la divinità princiapale del panteon cnaneo. Ricordiamo le parole del Deuteronomio: «Certamente la terra in cui stai per entrare per prenderne possesso non è come la terra d'Egitto, da cui siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il tuo piede, come fosse un orto di erbaggi; ma la terra che andate a prendere in possesso è una terra di monti e di valli, beve l'acqua della pioggia che viene dal cielo: è una terra della quale il Signore, tuo Dio, ha cura e sulla quale si posano sempre gli occhi del Signore, tuo Dio, dal principio dell'anno sino alla fine…» (Dt 11,10-12; cf. Sal 65,10-11). Dahood esagera, quando pensa che il Sal 85 sia un salmo per chiedere la pioggia (DAHOOD, 1965-1970, vol. II, p. 286). L’orizzonte del salmo è certamente più ampio di quello dei poemi ugaritici di Baal (ALONSO SCHÖKEL – CARNITI 1992-1993, vol. II, p. 189), ma indubbiamente l’elemento della pioggia non è assente, e nel nostro tempo noi stiamo percependo la sua importanza (BEAUCAMP, 1958). Nella dipendenza dall’acqua che scende dal cielo si manifesta la nostra dipendenza da Dio.
Nel suo ascolto della Parola di Dio, il salmista coglie anche un avvertimento. La salvezza di Dio non è scontata, automatica, essa è condizionata dalla corrispondenza del partner umano. Così il v. 9 specifica chi siano i destinatari del messaggio di pace proferito da Dio: «il suo popolo, i suoi amici, purché non ritornino alla follia». Anche qui la traduzione CEI («per chi ritorna a lui con fiducia») ha abbandonato il testo ebraico, il quale invece vuol mettere in guardia i fedeli da una falsa fiducia nelle promesse di Dio. Dio farà certamente la sua parte, ma Israele deve aver imparato dalla sua storia che le promesse di Dio sono sempre vincolate alla risposta dell’uomo, non sono mai automatiche. La libertà dell’uomo può vanificare il dono di Dio. Così il versetto seguente ribadisce che «la sua salvezza è vicina», non a tutti, ma «a chi lo teme» (v. 10), cioè a chi risponde con amore all’amore di Dio. Solo così «gloria» potrà abitare la nostra terra.
La quarta strofa è caratterizzata da un vocabolario particolare e dalla figura poetica della personificazione (EDER, 2017), per cui quattro concetti astratti vengono presentati come personaggi di un dramma cosmico, che coinvolge cielo e terra, Dio e uomo (TERRIEN, 2003, p. 608; GOLDINGAY, 2006-2008, vol. II, p. 612-614; COETZEE, 2009, p. 561). I personaggi sono elencati nel v. 11, e sono: ḥesed, «Amore», ʼemet, «Fedeltà/Verità», ṣedeq, «Giustizia», e šālôm, «Pace, Benessere». Essi sono accoppiati due a due: da una parte abbiamo il binomio ḥesed weʼemet, «Amore e Fedeltà», dall’altra ṣedeq wešālôm, «Giustizia e Pace». L’accoppiamento è importante: non c’è Amore senza Fedeltà, e non c’è Pace senza Giustizia. Il versetto seguente riprende solo due di questi personaggi, il secondo, ʼemet, «Fedeltà» e il terzo, ṣedeq, «Giustizia». Qual è la ragione di questa scelta, apparentemente casuale? Qui occorre tener presenti le coordinate spaziali della strofa, che sono così disposte (cf. tab. 1).
Tabella 1
A. |
v. 11a |
→← |
«si sono incontrate» |
B. |
v. 11b |
→← |
«si sono baciate» |
C. |
v. 12a |
↑ |
«germoglierà dalla terra» |
D. |
v. 12b |
↓ |
«si è affacciata dal cielo» |
D’. |
v. 13a |
↓ |
«Yhwh darà» |
C’. |
v. 13b |
↑ |
«la nostra terra darà» |
B’. |
v. 14a |
→→ |
«andrà davanti a lui» |
A’. |
v. 14b |
→→ |
«farà dei suoi passi un cammino» |
La strofa contiene otto verbi, due per versetto, disposti secondo i quattro punti cardinali. I due verbi del v. 11 («si sono incontrate», «si sono baciate») si riferiscono a un movimento orizzontale, così come i due verbi del v. 14 («andrà davanti a lui», «farà dei suoi passi un cammino»). Invece i vv. 12-13 sono caratterizzati da un movimento verticale antitetico: nei vv. 12a e 13b («fedeltà germoglierà dalla terra», 12a; «la nostra terra darà il suo frutto», 13b) il movimento è dal basso verso l’alto, nei vv. 12b e 13a («Giustizia dal cielo si è affacciata», 12b; «Yhwh concederà il bene», 13a) dall’alto verso il basso.
Se teniamo presenti queste coordinate spaziali, notiamo che la scelta dei due personaggi al v. 12 non è casuale, perché il v. 12a associa Fedeltà, ʼemet, alla terra, il v. 12b associa Giustizia, ṣedeq, al cielo. Dunque nel v. 11 l’autore ha disposto i quattro personaggi ripetendo due volte il binomio spaziale-teologico «cielo – terra», nel v. 12 ha ripreso solo due elementi, rappresentativi, il primo («Fedeltà») della «terra» (v. 12a), e il secondo («Giustizia») del «cielo» (v. 12b) (cf. tab. 2).
Tabella 2
v. 11 |
|
v. 12 |
a. «Amore» (cielo) |
|
b. «Fedeltà» – terra |
b. «Fedeltà» (terra) |
||
a’. «Giustizia» (cielo) |
|
a. «Giustizia» – cielo |
b’. «Pace» (terra) |
Come già la terza strofa aveva anticipato, il progetto di pace tracciato da Dio comporta l’incontro tra le due realtà, la terra e il cielo, Dio e l’uomo. Il dono di Dio, che rimane sempre l’elemento fondamentale, può essere vanificato dalla «stoltezza» dell’uomo, come è spesso avvenuto nel passato. Ebbene, nell’ultima strofa Dio promette che verrà un giorno in cui l’uomo saprà rispondere al dono di Dio, la promessa della pace si realizzerà.
Meynet ha ravvisato in questi versetti una storia d’amore (MEYNET, 1990, cf. MEYNET, 2010), e penso che abbia ragione. I verbi dei vv. 10-13 suggeriscono un movimento verso l’incontro di due amanti. Comincia con l’«avvicinarsi» (cf. l’aggettivo qārôb, v. 10a: «la sua salvezza è vicina»), poi c’è l’«incontro» (pgš, v. 11a: «Amore e Fedeltà si sono incontrati»), quindi il «bacio» (nšq: «Giustizia e Pace si sono baciate»). Questo verbo ha una chiara connotazione erotica: il Cantico dei cantici inizia così: «Mi baci con i baci della sua bocca» (Ct 1,2). Il bacio allude all’unione amorosa, la cui conseguenza è esplicitata poi nel v. 12: «Fedeltà germoglierà (ṣmḥ) dalla terra».
Lo sfondo è quello di Osea, il profeta dell’amore, che vede il rapporto tra Dio e Israele come quello di un uomo con la sua donna, un rapporto d’amore, in cui alla fine, dopo tanti tradimenti, finalmente Israele risponderà con amore all’amore di Dio. «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai Yhwh. E avverrà, in quel giorno – oracolo di Yhwh – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all'olio e questi risponderanno a Izreèl» (Os 2,21-24). Come Osea, anche il Sal 85 vede una continuità tra l’incontro di Dio con l’uomo e la fecondità della terra: «Sì, Yhwh concederà il bene e la nostra terra darà il suo frutto» (Sal 85,13). «La nostra terra» qui ha due sensi, intimamente correlati tra loro. Essa indica anzitutto l’umanità, in rapporto al cielo, lo spazio di Dio. Ma poi anche, concretamente, la «nostra madre terra» (come la chiama San Francesco), che aspetta la liberazione dei figli di Dio.
Per noi cristiani l’incontro tra cielo e terra è avvenuto con l’incarnazione del figlio di Dio (ADAMS, 2014). Nel seno della Vergine Maria realmente cielo e terra si sono incontrati, giustizia e pace si sono baciate, la nostra terra ha dato il suo frutto (ricordiamo l’annuncio del Natale: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama», Lc 2,14). La salvezza è venuta, la parola di Dio si è avverata. È vero che c’è ancora tanta sofferenza. Già e non ancora, come sempre. Ma noi abbiamo un motivo in più per sperare, nonostante tutto.
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